La Dark Horse Comics, semisconosciuta casa editrice con sede principale nella Milwaukie di Happy Days nasce nel 1986 e nonostante la giovane età ha saputo rilaveggiare con le loro maestà DC Comics e Marvel per le sue storie bizzarre e dark creati da fumettisti come Frank Miller (300, Sin City) o Mike Mignola (Hellboy) di cui il cinema si è quasi subito innamorato se pensiamo che il diavolo rosso è sbarcato sul grande schermo appena 11 anni dopo la sua nascita, grazie alla “bilogia” del premio Oscar Guillermo del Toro, mentre Batman, classe 1939, c’è arrivato solo nel 1966, con il lungometraggio tratto dal serie tv che vedeva come protagonista Adam West. Affossando definitivamente le speranze dei fan per un terzo capitolo diretto dal regista de La forma dell’acqua arriva il reboot della storia, diretto da Neill Marshall (Doomsday – il giorno del giudizio, Centurion), per la sceneggiatura di Andrew Cosby, la fotografia di Lorenzo Senatore (Risorto) e le musiche di Benjamin Wallfisch (It, Blade Runner 2049).
Hellboy (David Harbour) è un demone arrivato nel nostro mondo a seguito di un rito di evocazione interrotto dall’occultista Trevor Bruttenholm (Ian McShane) capo dell’Ufficio per la ricerca e difesa del paranormale che, però, anziché ucciderlo, lo ha adottato e cresciuto come un figlio affinché combatta le forze del male. Mentre sembra incombere l’avverarsi di un’oscura profezia che lo riguarda, Hellboy dovrà affrontare il risveglio della potente strega Nimue (Milla Jovovich).
Lo scopo di Marshall sembra essere quello di rimbambire il pubblico a colpi di musica rock ed heavy metal sparata tutto volume nel corso del film per distoglierlo dalla caterva di scempiaggini e maldestre scopiazzature che costituiscono la spina dorsale dell’opera. Con personaggi, come il demone Baba Yaga (Emma Tate) o la sensitiva Alice Monaghan (Sasha Lane) che vengono buttati nella storia, come gli avanzi della sera prima per il pranzo della domenica, solo per allungare un brodo insipido e tamarro fatto di personaggi, narratore compreso, che sembrano non poter esistere senza un commento sardonico ogni 5 secondi di dialogo, riducendosi così a diverse versioni dello stesso stereotipo filmico. Se la pellicola non ha nulla di nuovo da dire, tranne un pasticciato tentativo di citare il mito di Re Artù (che fa sempre fico nel film fantasy), le situazioni del film originale dai mostri simil-Cthulhu alla sequenza dell’arrivo in questo mondo di Helboy, non portano nulla di nuovo se non oceani di gore e insulsi lustrini quali i camei del personaggio del fumetto Lobster Johnson (Thomas Haden Church) e addirittura della cineasta tedesca Leni Riefenstahl (Kristina Klebe).
Tenendo presente che reeboot è assonante a ributtante, possiamo dire che la senso del lungometraggio risiede negli occhi pallati del pur bravo David Harbour. Infatti rispetto a un normale cinecomic, questo, anche a causa di alcuni improbabili virtuosismi prospettici nelle scene di combattimento, sembra girato da uno più sotto acidi del buon “Sick Boy” Williamson.
Andrea Persi