Con l’etichetta di “peplum” si è soliti indicare film ambientati nell’Antichità, che sia romana, greca, egizia o persino immaginaria, film in cui i protagonisti indossano le celebri tuniche dell’Età classica. Con questa accezione il genere finirebbe col comprendere anche film mitologici, biblici e di heroic fantasy. Il cinema peplum, però, ha delle caratteristiche peculiari, riconoscibilissime, che ci portano a distinguerlo ed a separarlo dalle pellicole di genere storico. Quali sono?
Come prima cosa poniamo una rivendicazione orgogliosa: il peplum è prodotto in Italia, esclusivamente. Sì, i peplum sono stati tra i più caratteristici prodotti della cinematografia nostrana, la risposta nazionale ai film storici proveniente d’oltreoceano. Ne deriva una seconda caratteristica: il peplum è un prodotto a basso costo, il frutto di uno sforzo di creatività che sopperisce alla mancanza di grandi finanze. A fronte delle miliardarie produzioni di Hollywood, il peplum è opera dell’inventiva di registi e scenografi che riutilizzavano i costumi, le scenografie e persino le scene di battaglia. Cinecittà evocò le suggestioni di un mondo eroico, di una antichità “altra”, con palazzi e templi in cartapesta ed enormi rocce di polistirolo. Da questo punto di vista non possiamo considerare peplum film come “Spartacus” di Stanley Kubrick con Kirk Douglas, né “Cleopatra” di Mankiewicz con Elizabeth Taylor.
Veniamo poi all’elemento più autentico: l’eroe deve essere muscoloso. Il peplum ha come protagonista gagliardi e nerboruti eroi, attori con imponenti fisici da culturisti. Furono loro il marchio di fabbrica: Mark Forest, Kirk Morris, Gordon Michell, Alan Steel, Gordon Scott etc. Bicipiti, tricipiti, quadricipiti, schiene triangolari, slanci atletici e tutto l’occorrente per vincere lotte spossanti contro leoni, mostri, nemici in gran numero. E’ quest’eroe che garantì a film, spesso ingenui, effetti di grande resa scenica ed enorme impatto iconico-espressivo sul pubblico. Per tale ragione non sono da annoverarsi tra i peplum “Ulisse” di Mario Camerini, né “Orazi e Curiazi” di Ferdinando Baldi e Terence Young con Alan Ladd, né la serie Rai “Eneide”, tanto meno “Il colosso di Rodi” di Sergio Leone.
Con eroi come questi le trame cadono necessariamente in secondo piano. La struttura del peplum deve essere semplice e diretta, senza prolusioni o altezze filosofiche. L’eroe è senza difetti, senza chiaroscuri, è buono, bravo, forte e bello. Non ha difetti, al contrario, i cattivi hanno esclusivamente difetti. Questo è quello che non si deve perdere di vista. Nelle trame dei peplum c’è un buono e deve vincere e c’è un cattivo e deve perdere. Di conseguenza non ha importanza l’aderenza della trama ad un evento storico, anzi il peplum si distacca completamente dal genere storico, come da quello mitologico e religioso. A differenza della heroic fantasy di Conan il Barbaro, di cui getta le basi, conserva però ancora un cenno ad un mondo vero, la parvenza di un’età storica. Il film è azione pura, è intrattenimento e non richiede sforzi interpretativi né veicola messaggi particolari. E’ chiaro dunque che non sono da considerarsi peplum in quest’accezione “La caduta dell’impero romano” di Anthony Mann o il “Ben-Hur” di William Wyler con Charlton Heston. Ne consegue pure che, per divincolarsi da ogni restrizione, gli eroi dei peplum sono inventati di sana pianta come Maciste ed Ursus oppure profondamente differenti dai veri Ercole (opportunamente trasformato sul mercato statunitense in Goliath) e Sansone. Così possiamo dire che gli unici peplum di Steve Reeves sono “Il terrore dei barbari” diretto da Carlo Campogalliani nel 1959, “Ercole e la regina di Lidia” diretto da Pietro Francisci nel 1959 e “Il figlio di Spartacus” diretto da Sergio Corbucci nel 1962. Gli altri sono storici o mitologici.
Questi eroi perfetti anatomicamente diedero al genere un’altro tratto connotativo: il peplum ha una carica erotica recondita. Sensualità e seduzione sono aspetti latenti delle pellicole peplum, conseguenza dell’ostentazione di corpi scultorei e seminudi negli uomini come nelle donne. Lo si nota nel primo peplum di Mark Forest, “La vendetta di Ercole”, del 1960 con le splendide Gaby André, Federica Ranchi e Leonora Ruffo. Ancora più evidente è in “La regina delle Amazzoni” con Dorian Gray, Gianna Maria Canale, Daniela Rocca etc. Fu una rivoluzione taciuta e tollerata. Nel pieno degli Anni Cinquanta e Sessanta, quando tutto era mortificato dalla censura, i peplum sbattevano sotto gli occhi del pubblico delle sale cinematografiche la perfezione di gambe e petti, le forme sode di corpi stretti in gonnellini striminziti e vesti cortissime.
Chiaramente, con l’obbiettivo del divertimento e scarsi mezzi, la quantità prevalse rapidamente sulla qualità ed il grosso dei peplum può valutarsi giustamente come “cinema di serie B”, tuttavia il genere ha regalato pure film degni di nota, grandi attori e registi talentuosi.