I film che ruotano attorno a una setta segreta (satanica o non) hanno due vantaggi rispetto agli altri: il primo è che possono consentire, digressioni più o meno interessanti, sul Credo del gruppo come lo spagnolo Second name o i thriller francesi de I fiumi di porpora 1 e 2, il secondo consentire colpi di scena capaci di ribaltare totalmente il quadro narrativo come il recente Suspiria di Guadagnino o il classico Rosemay’s baby di Polanski. Esemplare della prima caratteristica è anche l’horror diretto e sceneggiato da Ari Aster (Hereditary – Le radici del male), per la fotografia di Pawel Pogorzelski e le musiche di Bobby Krlic, meglio conosciuto come The Haxan Cloak.
Reduce da una terribile sciagura familiare, la giovane Dani (Florence Pugh), di reca col fidanzato Christian (Jake Renoyr) e gli amici Josh (William Jackson Harper), Mark (Will Poulter) e Pelle (Vilhelm Blomgran) nel villaggio natale di quest’ultimo, dove scoprirà che l’apparente perfetta comunione dei suoi abitanti con la natura è ottenuta a un prezzo molto alto.
Horror, della notevole durata di 140 minuti, che pur non rinunciando a momenti di pura truculenza, punta soprattutto sull’attesa e sull’atmosfera surreale per creare un continuo stato d’ansia e di angoscia, sia tramite tecniche già viste nel precedente Hereditary, (come la natura disturbata dei personaggi a cominciare dalla protagonista e l’uso “straniante” della profondità di campo), sia traendo ispirazione da opere come La montagna sacra di Alejandro Jodorowsky (anche nelle credenze del villaggio ricorre spesso il numero 9) e The Wicker Man di Robin Hardy. Ciò che ne viene fuori è un film visibilmente potente, con notevoli spunti narrativi, come l’introspezione sui sentimenti dei protagonisti, al contempo disgustati e morbosamente attratti dallo stile di vita di quella comunità in cui il bizzarro e l’efferato vengono accettati con la massima naturalezza, il quale però inciampa in maniera maldestra nei momenti clou tra ragazze con addosso palandrane di fiori e grotteschi accoppiamenti blasfemi che finiscono col suscitare più ilarità che terrore, sciogliendo così, assieme ad altre scene praticamente inutili, come quella del pasticcio di carne o del “bisognino” di Frank, la tensione, lasciando scivolare lo spettatore in un comatoso stadio di tedio.
Film in ogni caso intrigante che però con l’horror moderno, fatto di mostri raccapriccianti e jumpscares, ha davvero molto poco a che vedere.
Andrea Persi