22 anni fa, la Disney spezzò ufficialmente lo stereotipo maschilista dei suoi lungometraggi animati e mise in mano la spada a una delle sue principesse, la cinese Mulan, ispirandosi all’omonimo poema scritto nel VI° secolo dal filosofo Liang Tao. E l’esperimento funzionò piuttosto bene. Il cartone non fu certamente uno dei maggiori successi del cosiddetto Rinascimento Disney ma ottenne un notevole successo di pubblico con oltre 300 milioni di dollari a fronte dei 90 spesi per realizzarlo. Inevitabile, quindi, che venisse scelto per l’ennesimo live action (disponibile su Disney+, tramite un accesso Vip a 21,99 euro), diretto dalla regista Niki Caro (La ragazza delle balene, La signora dello zoo di Varsavia), per la sceneggiatura scritta da Elizabeth Martin, Lauren Hynek, Rick Jaffa e Amanda Silver, la fotografia di Mandy Walker (Australia) e le musiche di Harry Gregson-Williams (Le cronache di Narnia – il principe Caspian, Prometheus).
Quando l’esercito guidato dallo spietato Bori Kan (Jason Scott Lee) e dalla strega Xian Lang (Gong Lee), minaccia il Paese, l’imperatore della Cina (Jet Li) ordina che ogni famiglia fornisca un uomo per il suo esercito, ma l’unico maschio della famiglia Hua è l’anziano e malato Zhou (Tzi Ma). Così sua figlia Mulan (Liu Yifei) che fin da piccola ha dimostrato una straordinaria predisposizione al combattimento, si finge un maschio, per arruolarsi al posto del genitore.
La pellicola ha già stabilito un primato: è il primo lungometraggio Disney a essere oggetto di boicottaggio non da un governo assolutista o da qualche associazione conservatrice ma dal popolo della rete che tramite l’hastag #BoycottMulan ha voluto protestare contro le parole di sostegno della protagonista Liu Yifei (che peraltro è cittadina americana) alla repressione della polizia cinese a Hong Kong. Per nostra fortuna il film è talmente brutto e noioso che non dobbiamo prenderci il disturbo di utilizzare questa controversia per criticarlo. La pellicola risulta, infatti, un miscuglio mal riuscito tra La tigre e il dragone di Ang Lee (con i cattivi che corrono in verticale sulle mura delle fortezze) e L’ultimo dominatore dell’aria di M. Night Shyamalan (in cui la fa da padrone il concetto di Chi, inteso, a seconda delle esigenze narrative del momento, come forza interiore, magia o capacità di non lavarsi per settimane). Il tutto immerso nell’ immancabile e abusata animazione in cgi che ormai sembra avere come unico effetto non quello i stupire lo spettatore ma quello di rendere gli attori (in questo caso con l’eccezione del villain Jason Scott Lee), espressivi come blocchi di tufo davanti alle scenografie computerizzate, quasi più inesistenti di una sceneggiatura che si limita a seguire quella del cartone aggiungendovi frasi e dialoghi degne dei fratelli Marx del tipo: “4 once spostano 1000 libre”(boh???).
La Disney ha già annunciato un secondo capitolo e anche questo potrebbe essere un record: fare un sequel del nulla non è cosa da poco.
Andrea Persi