Nel 1964, per la prima volta, a ventisette anni dalla fine del loro matrimonio, Barbara Stanwyck e Robert Taylor tornarono a recitare insieme, in un misterioso melodramma psicologico: “Passi nella notte”.
Un ex scienziato cieco, Howard Trent (Hayden Rorke), è ossessionato dai sogni erotici della moglie, Irene (Barbara Stanwyck), la controlla, le nega il telefono, registra le parole che pronuncia nel sonno e, in preda alla gelosia, l’accusa di tradimento. Dubita dell’unico uomo che frequenta la loro casa, il suo legale, Barry Morland (Robert Taylor), ma è in errore. La donna è tormentata, in realtà, da uno strano incubo, un sogno assillante che la perseguita ogni notte, in cui viene posseduta da uno sconosciuto. In una lite di gelosia Irene rivela a Howard di vivere un matrimonio tremendamente infelice e ne nasce una colluttazione, al termine della quale l’esplosione inaspettata del laboratorio del marito, porta l’uomo alla morte. Libera dalla presenza asfissiante del marito, a distanza di mesi la donna continua a sentire la presenza dell’uomo nella casa, fino a vivere delle complesse allucinazioni orrifiche che la esasperano e la rendono incapace di sgrovigliare il reale dall’immaginato. Sentendosi prigioniera di quei sogni angosciosi, abbandona la casa, ma gli incubi la seguono. Stavolta è lo sconosciuto a plasmarsi davanti ai suoi occhi. Ne parla a Barry che sembra incredulo, spingendola sempre più nel baratro della follia.
Ricco di colpi di scena, inaspettati e convulsi, “Passi nella notte” fu confezionato da William Castle, autore di fortunate pellicole thriller e proto-horror. Si coglie perfettamente la scrittura dello sceneggiatore Robert Bloch, l’autore del romanzo “Psycho”. La colonna sonora, nervosa e cupa, calza perfettamente con le atmosfere disturbate del film. E’ di Vic Muzzy che di lì a qualche mese avrebbe firmato le musiche per “La famiglia Addams”.
“Che cosa sono i sogni? Che cosa significano? Che cosa sappiamo del misterioso mondo che visitiamo durante il sonno? Strane figure, strani volti, creature che popolano i nostri incubi. A volte noi osserviamo loro, talvolta loro osservano noi. Avete mai sognato di essere fissati da uno sguardo misterioso, inseguiti e perseguitati da due occhi implacabili senza potervi nascondere? Avete mai sognato di volare, di volare in posti lontani, oltre il mondo che conosciamo. Si così, volare, volare. Sì, forse si può sfuggire. Volare! Volare! No, non c’è scampo. Si cade, si precipita e sempre in fondo alla voragine che ci inghiotte, si incontra la morte. Sì, c’è anche la morte nei nostri sogni. Morte e sangue, e il regno che si trova oltre la morte, il regno dell’eternità. I sogni predicono, forse, il futuro? L’uomo ha sempre cercato di interpretare il linguaggio dei sogni. Un tempo c’erano gli indovini e gli auguri. Oggi abbiamo gli psicologi, ma i sogni sono sempre gli stessi, pieni di significati, di minacce e di misteri. Quando dormiamo vaghiamo in un altro mondo dove tutto è assurdo e agghiacciante, un mondo che esiste soltanto nel tempo. Quando dormiamo siamo tutti come dei sonnambuli”. Sono le parole angosciose di un atipico prologo, popolato di incubi, che è rotto dall’urlo di una donna colpita in volto da una lama, di cui lo spettatore vede solo il pomello che la sormonta, costituito da un bulbo oculare. È uno dei rimandi al surrealismo che si riscontrano qui e lì nella pellicola. La sfilza di orologi che scandiscono all’unisono il tempo sulla scala di casa Trent, per esempio, o il contaminarsi nebuloso di mostruosità reali e bellezze oniriche nella dimensione concreta, richiamano “Un chien andalou” e il metodo paranoico-critico di Dalì.
Sebbene sia innegabile che il film si regga tutto sulla Stanwyck, alla sua ultima comparsa cinematografica, è impossibile non riconosce l’abilità di Castle nel congegnare delle sequenze incredibilmente sinistre come lo smascheramento dell’avvocato o il “matrimonio onirico”.
La realtà è che Irene è semplicemente preda di un losco avvocato che vuole impossessarsi della sua eredità. È lui che costruisce la sua schizofrenia, i suoi deliri onirici, la sua deformazione percettiva dello spazio-tempo.