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    Pinocchio, la recensione.

    By giubors20 Novembre 2022Updated:20 Novembre 20222 Mins Read
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    Sconvolto dalla morte del figlio, l’abile falegname Geppetto (David Bradley\Bruno Alessandro) abbatte rabbiosamente il pino che il ragazzo aveva piantato da cui costruisce una marionetta (Gregory Man\Ciro Clarizio) che magicamente prende vita e a cui viene dato il nome di Pinocchio. Ma nonostante i consigli del saggio Grillo Sebastian (Ewan Mcgregor\Massimiliano Manfredi) il pupazzo finirà per mettersi nei guai con il losco Conte Volpe (Christoph Waltz\Stefano Benassi) e il perfido Podestà locale (Ron Perlman\Mario Cordova).

    L’opera sognata da Guillermo Del Toro sognava fin dal 2008 diventa finalmente realtà grazie a Netflix e alla tecnologia stop motion. Chi ha visto il live action Disney che nemmeno il talento di Tom Hanks è riuscito a salvare o, peggio, l’orripilante versione di Roberto Benigni, può aver pensato che ormai la fiaba di Collodi non avesse più nulla da dire.

    Invece, Del Toro ne ha tratto spunto per una storia, ambientata nell’Italia del Ventennio, che si rivela quanto mai attuale e che, sbeffeggiando il potere, parla d’amore (verso gli altri così come sono), tolleranza e pacifismo. Memorabili, in questo senso, il messaggio di non violenza della scena ambientata nel “Paese dei Balocchi” trasformato in un campo d’addestramento per giovani fascisti in cui diventare somari come Pinocchio e Lucignolo (Finn Wolfhard\Giulio Bartolomei) vuol dire respingere lo status quo bellicista, rimanendo allo stesso tempo, umani in un mondo di asini e il toccante epilogo ideato dal regista. Molto indovinata è anche la scelta di condensare il gatto, la volpe e Mangiafuoco in un unico villain mellifluo e violento al tempo non a caso doppiato dalla voce originale del perfino nazista di Tarantino Hans Landa.

    Scritto quasi 140 anni fa, Pinocchio ha quindi ancora molto da dire, peccato che chi dovrebbe raccontarne la storia, tra autocompiacimenti personali e confezioni patinate ma vuote, a volte non riesca ad ascoltare.

    Andrea Persi

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