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    Home»Recensioni»The Mule – Il Corriere
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    The Mule – Il Corriere

    By giubors10 Febbraio 2019Updated:10 Febbraio 20193 Mins Read
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    Di Andrea Persi 

    Nella scena clou de Il sesto senso (“vedo la gente morta” per capirci) Bruce Willis prova a raccontare una storia a Haley Joel Osment, venendo però redarguito da quest’ultimo per non aver inserito “una scolta” che rendesse più vivace il racconto. E se c’è qualcuno che a Hollywood ha saputo sfruttare le “svolte” come pochi questo è stato Clint Eastwood, fin dai suoi western anticonvenzionali degli anni ’70, rivisitazioni crude e violente degli “spaghetti” di Sergio Leone per poi arrivare alle opere più recenti come Million bollar baby o Changeling. Ecco dunque che Eastwood a 88 anni si rimette nuovamente in gioco dirigendo se stesso, dieci anni dopo Gran Torino, in un film sceneggiato da Nick Schenk, per la fotografia di Yves Bélanger (Dallas buyers club) e la colonna sonora del musicista cubano Arturo Sandoval.
    L’anziano Earl Stone (Clint Eastwood) si ritrova improvvisamente sul lastrico e solo, visto che la sua famiglia, che ha trascurato nel corso degli anni, non vuole più saperne di lui. L’uomo, esperto guidatore finisce quasi per caso, a fare da corriere al potente boss della droga Laton (Andy Garcia), diventando uno dei suoi uomini migliori, ma entrando anche nel mirino dell’abile agente della DEA Colin Bates (Bradley Cooper).
    Ispirata alla storia vera del veterano della seconda guerra mondiale Leo Sharpe che nei primi anni duemila divenne corriere per El Chapo, la pellicola combina assieme gli eventi reali della storia di Sharpe con una riflessione, tipicamente americana, sull’importanza della famiglia e degli affetti che offre gli spunti più commoventi e drammatici del film. Se Redford con il recente Old Man & the Gun, che condivide diverse somiglianze con questo film a cominciare dal rapporto che s’instaura tra il poliziotto e il malvivente, offriva una visione romantica del mondo del crimine, che per il suo protagonista diveniva quasi ossessiva, Eastwood, viceversa, ne sottolinea il fascino effimero. Stone, come un attempato Pinocchio in un Paese dei Balocchi di soldi facili e opulenza, in cui il tempo, non a caso, è scandito dal progressivo numero dei “viaggi” che il corriere effettua,si smarrisce in maniera sempre più profonda all’interno di qeusto universo in cui può sentirsi ancora vivo e sicuro di sé, vedi le scene del fast-food e con il cane poliziotto, al punto da sfidare perfino i sottoposti del boss, ma che gli fa perdere di vista, di nuovo, ciò che conta davvero e che appartiene a quel mondo reale, in cui la legge e i valori si rispettano.
    Se con Attacco al treno, il documentarismo di Eastwood era così estremo far recitare gli stessi protagonisti del fatto, qui il regista di San Francisco recupera la dimensione filmica, simile ad America Sniper, in cui il sostanziale rispetto della cronaca non impedisce la costruzione di storia con una propria e toccante poesia. Un gioiellino. Di nuovo.

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